Partigiani della 36° Brigata Bianconcini s’incamminano per il sentiero della collina di Cà Malanca (è il 10 ottobre del ‘44).
Riparati solo a tratti da alberi e frasche vanno verso il piano, le informazioni dicono che gli Angloamericani sono prossimi a liberare Faenza e intendono unirsi a loro nell’entrare in città. Sanno battersi ma sono stanchi e provati da mesi di clandestinità, non hanno riserve alimentari, sentono il freddo della notte ottobrina con gli abiti estivi che indossano, e i continui e durissimi scontri con i tedeschi sono sempre più sproporzionati per carenza di armi di grosso calibro.
Per la maggior parte sono giovani antifascisti di Casola Valsenio, Brisighella, Fontanelice, Imola e borghi intorno, conoscono bene i luoghi e vivono della solidarietà delle famiglie contadine, la loro storia di lotta è iniziata nella primavera dello stesso anno. Ma ci sono anche partigiani della Bassa che hanno preso la via della montagna già con l’8 settembre, e sono reduci dello sfaldamento dell’8° Brigata Garibaldi quando, invece di disperdersi pericolosamente, danno origine al Battaglione Ravenna. Hanno subito perdite dolorose e significative, anche i due leader Bruno Neri e Vittorio Bellenghi, colpiti in un agguato.
I partigiani passano per il sentiero di Cà Malanca e vengono avvistati dai tedeschi, che li attaccano da facile posizione e fanno i primi morti. Il gruppo non sbanda, risponde al fuoco dalle pendici del monte Colombo, nascondendosi tra gli alberi e restandovi per tutta la notte, qui i feriti ricevono le prime e insufficienti cure, mentre i tedeschi riportano perdite e si ritirano.
Il giorno successivo, già di primo mattino, il vicino paese di Purocielo viene occupato da autoblindo nemiche e inizia una nuova e intensa battaglia con alterne vicende, ma con un peso preponderante nel numero dei soldati tedeschi.
C’è pure un bombardamento alleato, all’apparenza inspiegabile.
Gli inglesi sparano con cannoni da posizioni più in basso e colpiscono proprio i costoni del Colombo: uccidono, feriscono, disorientano e si fermano solamente quando i partigiani trovano il modo di issare una bandiera italiana.
Nel pomeriggio inizia da parte tedesca una vera caccia all’uomo che continua fino al giorno seguente con scontri ravvicinati. Durante la notte la 305° divisione, composta da tedeschi specialisti in antiguerriglia guidati da persone del posto che conoscono bene le montagne, attacca le case che danno ristoro e ricovero momentaneo, bruciandole e uccidendo chiunque è sospetto partigiano o patriota.
Il comandante Bob, dopo una non facile analisi militare con i responsabili delle compagnie, ordina il ripiegamento a nord, unica via libera per raggiungere gli Alleati.
La Bianconcini abbandona i morti che restano tra gli alberi, nei canaloni, in prossimità del paese, giovani colpiti in azione o da granate, e si dirige verso il Crinale del Calamello.
È quel che si definisce un calvario.
Gli scontri con le pattuglie tedesche sono numerosi, la pioggia è battente e mancano i viveri. In più, nel trasferimento per sentieri impervi e mulattiere, indeboliti dalle fatiche i feriti peggiorano e vengono ricoverati in un luogo ritenuto franco: la parrocchia della frazione Cavina. Ma i tedeschi li scoprono (delatori prezzolati ve li conducono) e li catturano, a nulla valgono le mediazioni di don Giuseppe Bosi e subiscono sevizie; infine le brigate nere li portano a Bologna dove proseguono gli interrogatori e poi li fucilano.
La battaglia di Cà Malanca e Purocielo termina il 12 ottobre ed è tra le più cruenti dell’Emilia Romagna, coinvolgendo un numero altissimo di partigiani e tedeschi.
Nel marzo del ‘45, dopo un breve addestramento, una parte della Bianconcini entra nella 28° Garibaldi e continua nella liberazione dell’Italia.