«Io ci sto»
Quando pronuncia queste poche parole, Lea Bendandi ha ventun anni e un’infanzia grama alle spalle: Ho accettato subito, d’istinto, ho detto: sì sì, io ci sto. Ecco, ho fatto la partigiana per essere libera.
Il nome di battaglia, Sultana, non l’ha scelto lei, ma i capi partigiani. Mai un nome, però, fu più azzeccato.
Una Sultana in bicicletta che sfreccia sugli argini dei fiumi, che sfugge ai controlli dei nazifascisti con una pistola o un rotolo di manifesti nella sporta. Una staffetta giovane e bella che fa del suo fascino un’arma per non farsi catturare e distribuire propaganda antifascista.
È una Sultana quando organizza i Gruppi di Difesa della Donna o quando diventa comandante dei GAP femminili di Russi.
È una Sultana che, da semplice staffetta partigiana, diventa presidente dell’Anpi di Russi.
Una Sultana il cui estro la porta poi a diventare stilista di moda. Bologna, Milano, Parigi. Passano trentacinque anni e la Sultana torna a casa, a Russi, per rendersi utile ancora: per parlare ai bambini delle scuole della Ines e della Candina, le mie compagne staffette che sono state ammazzate…
La storia di una donna autonoma, che non ha accettato imposizioni, che non si è lasciata intimidire. Forse quando se ne è andata, nel 2015, ha avuto un solo rammarico: Ho fatto la partigiana anche per essere libera come donna, ma ancora oggi molte donne non sono libere di decidere della propria vita…