La Repubblica sociale italiana
Il Duce diventa un “quisling”, ovvero un capo fantoccio. Quando il 12 settembre 1943 paracadutisti tedeschi lo liberano dal rifugio di Campo Imperatore sul Gran Sasso (trasferito a forza per ordine di Vittorio Emanuele III dopo il 25 luglio) e lo portano da Hitler che lo attende per fondare il nuovo Stato, la Repubblica Sociale Italiana (RSI).
È lui che ne viene riconosciuto il capo. Ma è una maschera. A comandare sono solamente i tedeschi, anzi, nell’occasione, l’Italia rimpicciolisce territorialmente perché Mussolini dona alla Germania le province di Trieste, Trento, Bolzano, Gorizia, Udine, Belluno, Pola, Fiume.
Il 31 dello stesso mese sui muri delle città e dei paesi non ancora liberati, i fascisti (già chiamati repubblichini) affiggono i bandi di reclutamento che riguardano tutti gli uomini che vanno dai 17 ai 35 anni d’età. Chi non ubbidisce é da considerarsi disertore e quindi soggetto al tribunale militare: la pena è la fucilazione.
I soldati tornati a casa dopo lo sfaldamento dell’esercito, si trovano obbligati a indossare di nuovo una divisa. Quelli che hanno già idee politiche antifasciste si oppongono coscientemente al bando precetto, ma la gran parte agisce d’istinto e d’accordo con le proprie famiglie cerca nascondigli. Sono momenti d’incertezza. Serve una guida. Un’organizzazione politica che non faccia solo opposizione al contingente ma abbia un pensiero elaborato. Solido.
Iniziano anche i primi rastrellamenti.
Le strade cittadine vengono chiuse alle due estremità dai repubblichini, gli uomini che vi si trovano dentro sono fermati. Devono mostrare i documenti e vengono indotti ad aderire alla RSI, se rifiutano sono deportati nei campi di lavoro nazisti.
A Ravenna la comunicazione ufficiale che si è formata la RSI arriva il 24 settembre. La Federazione fascista riceve l’ordine di organizzarsi, cosa che fa immediatamente nominando il nuovo Capo della provincia e il nuovo Direttorio che intervengono subito sulla comunicazione: il settimanale “La Santa Milizia” cambia direttore e riprende le pubblicazioni, mentre “Il Resto del Carlino”, dopo un periodo confuso nel quale è costretto a dare limitate informazioni, ritorna ad avere tutte le sue pagine. Entrambi, oltre all’attualità, iniziano un’opera di denigrazione della monarchia Sabauda e di esaltazione di Mazzini e Garibaldi, nonché di un intellettuale insolito e poliedrico di Casola Valsenio: Alfredo Oriani.
Di fronte a queste notizie i ravennati mostrano poco interesse, non credono né allo spirito repubblicano dei fascisti né alle loro persone. Piuttosto incominciano a organizzare una struttura clandestina militare. Tra i primi c’è Celso Strocchi, un meccanico che nella sua piccola officina di casa aggiusta le poche armi recuperate.
La cultura della Nazione Italica unica nel mondo ed eroica perde di consistenza. Il processo di educazione al Fascismo delle nuove generazioni (modello per Hitler in Germania e Franco in Spagna) che ha come fine una completa sudditanza al Duce, sempre indiscutibile e infallibile, mostra tutta la sua debolezza e, con sorprendente velocità, gli oceanici incontri davanti a palazzo Venezia radiotrasmessi in tutte le piazze d’Italia paiono dimenticati, lontanissimi.
Riemergono le idee censurate dal Regime, ma ve ne sono anche di nuove e del tutto inedite. I partiti parlano di una sovranità dal basso e, pur nella difficoltà di un intero paese abituato al demiurgo e alla retorica del gesto, fanno conoscere che ci può essere un altro modo di vivere lo Stato, ovvero gestirlo attraverso una democrazia popolare rappresentativa.
I leader antifascisti appartengono a diversi schieramenti politici, ma stanno insieme nella lotta militare e sociale, seppur con un peso diverso nel Comitato di Liberazione Nazionale (il CLN) e nella società.
A Ravenna quelli comunisti sono i più organizzati. Uomini coraggiosi, instancabili, tempestivi. Possono avvalersi del pensiero di eroi nazionali, come Gramsci fondatore del foglio clandestino “L’Unità” e morto nelle carceri fasciste.
Parlano di lavoro, repubblica, suffragio universale e i concetti non riguardano solo l’immediato ma anche il poi… a fine guerra cosa si fa?
Seguono i repubblicani che hanno tradizioni garibaldine e mazziniane, il loro fine è quello di una democrazia rappresentativa, ma con un sistema produttivo che prevede lo sviluppo della piccola proprietà e la cooperazione.
Anche i socialisti con Nullo Baldini vogliono la cooperazione.
I cattolici riprendono Don Sturzo e il cattolicesimo meno confessionale e più sociale.
Il partito D’Azione ha intellettuali importantissimi (si pensi al Professor Calamandrei) ed è profondamente democratico: per primo i diritti civili a ogni persona!